Gentrification: l’imborghesimento dei quartieri popolari

Il termine gentrification sta entrando solo da poco tempo e lentamente nella saggistica italiana e nei mass media. Come molte parole straniere “nuove” all’inizio sembra impronunciabile e incomprensibile. Poi se ne fa l’abitudine, come l’abbiamo fatta col termine globalization al quale, il termine gentrification, è connesso.

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Fonte: http://artofcitybuilding.blogspot.it/2011/07/is-gentrification-good.html

Per gentrification (dall’inglese gentry=borghesia, gente per bene. Prima ancora dal latino, dai gentili, i nobili romani ed alla pratica dell’Impero di sostituire i suburbi affollati con ville dei potenti, per attirare persone dal reddito più alto, e per rendere le zone più sicure) si intende il progressivo imborghesimento di un quartiere popolare, centrale e degradato, generato da una sostituzione sociale degli abitanti e da una riqualificazione edilizia che comporta, necessariamente, l’innalzamento dei costi degli appartamenti che attrae classi sociali più abbienti.

Si può definire come quel fenomeno fisico, sociale, economico e culturale per cui un quartiere cittadino, generalmente centrale, abitato dalla classe lavoratrice (working-class) e in generale da ceti a basso reddito si trasforma in zona per la più ricca classe media (middle-class), mediante una attività  di restauro e riqualificazione urbana, e il conseguente aumento dei valori immobiliari che provoca, tra le conseguenze anche se non sempre avviene, l’espulsione delle persone meno abbienti.

Il termine è ormai entrato a pieno titolo negli studi anglosassoni sulla riqualificazione urbana e il conio del termine si deve alla sociologa tedesca, in seguito naturalizzata canadese, Ruth Glass, che lo utilizzò nel 1964 per descrivere i cambiamenti nella struttura sociale di alcuni quartieri di Londra.

La bibliografia anglosassone e statunitense sul fenomeno è molto numerosa, mentre in Italia si riscontrano ancora pochi studi. Negli anni recenti la gentrification si è diffusa in tutto il mondo, ed è divenuta – secondo molti studiosi – una delle conseguenze rilevanti delle pratiche urbane del neoliberismo e ha gradualmente assunto una connotazione negativa dando luogo anche a movimenti di protesta e a film come Stop Gentrification di Seth Tobocman.

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Fonte: http://ghettoizationglobal.blogspot.it/2013/01/the-problem-gentrification-cont.html

Il fenomeno dialoga anche con la percezione che le persone hanno degli spazi. Gli spazi non sono mai soltanto fisici. La dimensione spaziale si esprime sempre attraverso una codifica simbolica che attribuisce alle relazioni una rete di significati che vengono espressi e modificati attraverso la fruizione o meno di luoghi, ambienti ed esperienze. Lo spazio vissuto è un complesso sistema che intreccia elementi spaziali, sociali e culturali. I centri e le periferie, le aree degradate e le aree in trasformazione verso qualcosa di diverso, la similarità  e la differenza non sono funzione delle distanze fisiche. Lo spazio sociale non viene codificato in termini esclusivamente cognitivi, razionali. Al contrario, esso è intessuto a tutta una serie di valutazioni: la sua percezione è intrecciata a considerazioni relative alla sicurezza, al decoro, all’inclusione e all’esclusione, all’immagine della città  e della vita associata, alla sua visione di sviluppo. Le città  sono, infatti, luoghi nodali per lo sviluppo di una cultura simbolica la cui forma può risultare maggiormente evidente e comprensibile in un contesto di cambiamento, ovvero durante una trasformazione.Come scrive il decano della sociologia italiana Franco Ferrarotti (Il senso del luogo, Roma: Armando Editore, 2009):

«il genius loci è oggi dimenticato. Il luogo ha perso l’aura, la connotazione specifica, il clima e l’atmosfera che lo definiva in maniera unica, non interscambiabile, non fungibile. Anni prima che valenti antropologi ardissero teorizzare i non luoghi – forse immemori che non luogo traduce alla lettera il termine fascinoso di utopia – l’idea di un no sense of place, ossia di luoghi privi di ogni significato che li segnasse a fondo, era già  stata elaborata. Si parte con un animus insoddisfatto, con il desiderio di cambiare la propria identità  ma durante il viaggio l’identità  da cambiare si è per conto sua trasformata. Nella realtà  le persone vivono in villaggi urbani, aree ristrette dove si sentono ‘a casa’. Le persone non vivono a New York, ma a Forrest Hills, o a Lower Westside. Fuori dal loro villaggio urbano si sentono come all’estero, non conoscono le persone, non conoscono il luogo. Il villaggio urbano è un fattore emozionale, una sensazione di sicurezza».

Sono molte le città  storiche che presentano il fenomeno dei quartieri emergenti. Quartieri a volte degradati dal punto di vista della qualità  architettonica, ma non privi di identità, che a partire da un certo momento mostrano segni spontanei di rigenerazione. I ceti popolari a poco a poco cedono il posto a popolazioni più giovani, acculturate, in grado di pagare prezzi in continua crescita per alloggi d’epoca ma anche e soprattutto in grado di offrire un apporto in termini di linfa culturale e intellettuale al territorio.

Non è detto che la gentrification sia sempre un processo indotto da piani o politiche pubbliche, come nel caso di Berlino dove la comunità  curda ha dato vita recentemente a dei veri e propri movimenti against-gentrification o come Harlem a New York. A volte si può connotare come processo spontaneo e auto poietico come nel caso di alcuni quartieri ex popolari romani.

Alcuni sociologi americani hanno sperimentato l’analisi della gentrification attraverso la codificazione di indici qualitativi. Ad esempio il bohemian index è un indice che misura la “città creativa” abitata e resa tale da una creative class composta di professionisti impiegati nelle industrie creative. Questo fattore, unito a quelli di un elevato livello di diffusione della tecnologia, di un buon sistema educativo e accademico e di un approccio intellettuale aperto, contribuiscono a creare l’ambiente adatto al proliferare delle attività  creative. Il maggiore teorico di questa visione à il sociologo americano Richard Florida, che ha anche elaborato un sistema di misurazione del tasso di creatività  dei luoghi. Le variabili da considerare sono le tre T:

  • Talent: la concentrazione di talenti nell’ambito dell’informatica, matematica, architettura, design ecc.
  • Technology: un alto livello di infrastrutturazione tecnologica con particolare riferimento alla connessione Internet (si pensi a città interamente cablate: quelle che oggi si chiamano smart cities)
  • Tolerance: il grado di inclusività  sociale misurato in relazione alle caratteristiche dell’orientamento sessuale (Gay Index), della predisposizione professionale artistica (Bohemian Index), dell’etnia (Melting Pot Index).

La gentrification ha avuto un impatto enorme in alcune aree urbane, anche perché in alcuni casi le classi povere si devono spostare. Quindi, la gentrification può essere letta come una forma di classismo geografico, locale.

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Jane Jacobs

Questo a danno dell’autenticità  dei luoghi. Il concetto di autenticità  si trova al centro del libro della sociologa americana Sharon Zukin (L’altra New York. Alla ricerca della metropoli autentica, Bologna: Il Mulino, 2012). Il volume è incentrato sull’analisi dei processi di gentrification in alcuni quartieri di New York e costante è il riferimento a Jane Jacobs, nella doppia veste di sociologa urbana sui generis, a partire dal fondamentale libro Vita e morte delle metropoli americane (pubblicato in Usa nel 1961 e tradotto in Italia da Einaudi nel 1969) e di attivista e community organizer impegnata a promuovere politiche urbane volte a favorire la conservazione di un habitat incentrato su unità  residenziali di piccole dimensioni, l’eterogeneità  sociale ed etnica, il controllo endogeno, lo sviluppo di relazioni di prossimità .A parere di Zukin, Jacobs elaborerebbe un’«estetica dell’autenticità  urbana», senza però coglierne le conseguenze pratiche in termini di aumento dell’appetibilità  delle aree che così vengono definite. Ma la percezione di autenticità  di uno spazio urbano proviene sempre dall’esterno, così come i segni della gentrification non sempre sono visibili a chi la subisce lentamente ogni giorno mentre osserva il proprio quartiere cambiare.

Tra i riferimenti bibliografici, citiamo anche:

  • la recensione de Il Manifesto del 20 febbraio 2013 al libro di Sharon Zukin.
  • la tesina di Lidia Manzo, redatta nel 2010 per Università di Trento.

[Irene Ranaldi]

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