“Aiutame a di’ brutto”: brutture curiose nel centro storico romano

Durante le mie esplorazioni urbane alla ricerca del bello e del prezioso, sovente mi è capitato, con mia divertita sorpresa, di imbattermi invece nel brutto e nel dozzinale. Parlo di sorpresa divertita perché, nonostante io cercassi la bellezza, il brutto o il macabro o il ridicolo che ho incontrato erano comunque “di qualità”, cioè prodotti da artisti di livello, i quali probabilmente ritennero di aver realizzato un’opera bella ed esteticamente riuscita anche quando si dovettero, forse loro malgrado, attenere comunque al dato reale quando, ad esempio, dovettero ritrarre le fattezze di qualche personaggio per sua sfortuna poco aggraziato nelle forme e nella fisiognomica…

Prima di procedere, tuttavia, mi corre l’obbligo di premettere il vecchio adagio “non è bello quel che è bello ma è bello ciò che piace”, e che dunque (e naturalmente) le osservazioni che seguono sono frutto di un gusto del tutto personale, così come del tutto soggettiva è l’ironia che ne consegue. Sperando di non offendere nessuno.

Così mi è capitato di imbattermi nell’involontariamente comico quando, in Santa Maria del Popolo, mi sono trovata davanti alla tomba dell’architetto romano Giovan Battista Gisleni, morto nel 1672, concepita dallo stesso Gisleni. Una tomba che sembra un “prima e dopo la cura”, o meglio un “prima e dopo la morte” (o un “prima e dopo la vita”…). Si tratta di un originale memento mori distinto su tre livelli: al primo, il più alto, troviamo il ritratto (in rilievo) del personaggio da vivo, incastonato in una cornice ovale. Segue, in basso, una lapide.

La tomba di Giovan Battista Gisleni a Santa Maria del Popolo [Fonte: Wikipedia, CC BY 3.0, Foto by Sailko]
La tomba di Giovan Battista Gisleni a Santa Maria del Popolo [Fonte: Wikipedia, CC BY 3.0, Foto by Sailko]
Ed infine, terzo e più basso livello, un altro vano: chiuso da una grata, esso contiene un bello scheletro in marmo giallo antico, raffigurato dalla cintola in su e con braccia incrociate sul petto, con un candido velo (ovviamente sempre marmoreo) ad incorniciare il capo. O meglio, il teschio.

La tomba di Giovan Battista Gisleni a Santa Maria del Popolo [Fonte: Wikipedia, CC BY 4.0, Foto by Alvesgaspar]
La tomba di Giovan Battista Gisleni a Santa Maria del Popolo [Fonte: Wikipedia, CC BY 4.0, Foto by Alvesgaspar]
Sotto il Gisleni dell’aldiqua (in alto) si trova una specie di cartiglio che riporta le parole Neque hic vivus,  poi una lapide con una lunga iscrizione commemorativa, ed infine il Gisleni dell’aldilà, sotto il quale corrono le parole neque illic mortuus. Vale a dire, lette le due frasi di seguito: «né vivo qui [nel regno dei vivi], né morto lì [nel regno dei morti]». Un monito che, nonostante la bizzarria, ci ricorda l’inconsistenza, la contraddittorietà e l’inafferrabilità sia del vivere che del morire.

Poche decine di metri più in là, in Piazza di Spagna, giungo presso la casa in cui visse e morì, giovanissimo ( a soli 26 anni, nel 1821, e sepolto nel noto Cimitero Acattolico nel rione Testaccio) il poeta britannico John Keats (oggi la casa-museo Keats-Shelley House).

La Keats-Shelley House a Piazza di Spagna [Fonte: Wikipedia, PD]
La Keats-Shelley House a Piazza di Spagna [Fonte: Wikipedia, PD]
Qui, mentre mi lascio andare al languore delle eleganti stanze che hanno accolto i sentimenti e i mortali colpi di tosse del poeta romantico per eccellenza, mi imbatto nella maschera mortuaria del giovane poeta John Keats. Triste e ai limiti del macabro, secondo me, come ogni maschera funeraria, del resto. E per di più, un “souvenir” reso ancora più lugubre dal triste fatto di cronaca che ha visto, nella primavera del 2016, un giovane suicidarsi per impiccagione proprio nel bagno del poetico alloggio interno all’edificio del museo memoriale…

Mashera mortuaria di John Keats [Fonte: Wikimedia, CC BY SA 4.0, foto di Stephencdickson]
Mashera mortuaria di John Keats [Fonte: Wikimedia, CC BY SA 4.0, foto di Stephencdickson]
Nell’immagine che segue possiamo vedere un ritratto di John Keats dipinto da William Hilton.

John Keats ritratto da William Hilton [Fonte: Wikipedia, PD]
John Keats ritratto da William Hilton [Fonte: Wikipedia, PD]
Quando invece sono entrata nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte mi sono posta la seguente domanda davanti alla scultura di Sant’Anna morente dello scultore Giovanni Battista Maini (1690-1752): ciò che spira dalla bocca semiaperta della donna è uno spasimo o piuttosto un rantolo? La posizione della donna, infatti, è chiaramente ispirata a quella della Beata Ludovica Albertoni berniniana (1674, Chiesa di San Francesco a Ripa), della quale sembra essere la versione “agée”… Ciò che in Bernini è il rapimento mistico di una giovane donna, qui appare piuttosto come l’ultimo respiro di una santa ritratta negli ultimi istanti della sua terrena esistenza. Impietoso e goffo al tempo medesimo.

Per fortuna non giunge più alle nostre narici l’olezzo che certamente si sarà levato dal putridarium anticamente collocato nel sotterraneo della medesima chiesa, cioè dal luogo in cui i cadaveri “sostavano”, in decomposizione, prima di essere “trattati” per essere poi collocati nell’ossario. La chiesa è la sola a Roma a conservare memoria di questa cimiteriale “anticamera”.

Giovanni Battista Maini, Sant’Anna morente, 1750 ca. [Fonte: Wikipedia: CC BY 3.0 unported, foto by Sailko]
Giovanni Battista Maini, Sant’Anna morente, 1750 ca. [Fonte: Wikipedia: CC BY 3.0 unported, foto by Sailko]
Ancora un’altra bellezza ormai sfiorita è la Carità che Guglielmo della Porta scolpì fra la prima e la seconda metà del ‘500 per la tomba di Paolo III Farnese, ma che finì per essere collocata, assieme all’Abbondanza, al lato del grande camino che si apre sul Salone di Ercole di Palazzo Farnese. Michelangelo probabilmente contribuì al disegno, e non a caso la posizione, sdraiata sul fianco, della donna richiama immediatamente quella delle tombe medicee a Firenze. Ma, duole dirlo, nonostante vi sia la presenza del Maestro, il risultato è ben lungi dal sublime michelangiolesco: gambe più che tornite, un torso fin troppo ampio e muscoloso, reso ancora più sproporzionato da due seni vecchi ma sodi al tempo stesso (l’iconografia della Carità prevede l’allattamento) ma troppo ravvicinati; ed infine collo e guance cadenti ed avvizziti… Purtroppo non abbiamo la possibilità di mostrarvi la foto.

Ed infine ci si rechi presso la chiesa di Santa Maria d’Ara Coeli: qui oso dire che irriverente senza saperlo fu lo scultore emiliano Domenico Aimo che ritrasse Leone X, papa dal 1513 al 1521(sepolto, per inciso, in Santa Maria sopra Minerva). Certamente l’artista fu fedele al vero, poiché celebri e molteplici sono i ritratti di questo papa mediceo, e sì, sappiamo che Giovanni de’ Medici era proprio così: occhi sporgenti, naso pronunciato, guance sode e ben nutrite, doppio mento. Tratti fisiognomici non esattamente da dio greco…

Domenico Aimo da Varignana, Statua di Papa Leone X, 1514-1520, marmo, Roma, Santa Maria in Aracoeli [Fonte: Frank Zöllner, Il Salvator Mundi di Leonardo. La tradizione iconografica, le diverse versioni e una domanda: è forse un dipinto “romano”?, Leonardo a Roma. Influenze ed eredità. Exhibition cat., ed. by R. Antonelli, C. Cieri Via, A. Forcellino and Maria Forcellino, Rome 2019, fig. 11]

E così via discorrendo, sul bello del brutto, per giocare con le parole.

Insomma, certamente a ben cercare Roma ci riserva molte sorprese di questo tipo, anche perché appunto, come già detto, ognuno ha le proprie preferenze e dunque ce n’è per tutti i gusti.

Un invito, pertanto, a cercare, a non limitarsi a ciò che è comunemente riconosciuto come bello, ma a guardarsi intorno con occhio attento e ironico, a sviluppare un proprio gusto personale, a trovare motivo di interesse anche in ciò avremmo respinto.

Buona ricerca! E se vi va, condividete con noi i risultati delle vostre scoperte!!!

[Chiara Morabito, 21 marzo 2020]

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