Alle origini del Serendipiwalk. Quando l’azzardo diventa metodo per documentare il territorio

Non fatevi abbagliare né infastidire dall’anglicismo del titolo: alla radice del Serendipiwalk ci sono il Grand Tour e l’Italia del Cinquecento. Dalle nostre ricerche risulta che il termine serendipity sia stato coniato dallo scrittore britannico Horace Walpole che tra il 1739 e il 1741 compì un viaggio – il suo Grand Tour – in Francia e in Italia con un suo amico, il poeta Thomas Gray. Il Bel Paese rimase impresso in modo indelebile nella sua anima. Il 28 gennaio 1754 Walpole scrisse una lettera a un altro amico, nella quale gli parlava di un libro italiano del Cinquecento, il Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo, per opera di M. Christoforo Armeno dalla Persiana nell’Italiana lingua trasportato. Infatti si trattava di un volume scritto a Venezia da un uomo originario di Tabriz, capitale dell’Azerbaigian, sulla saga di un eroe dell’epica persiana. Nella fabula Giaffèr, re di Serendippo (cioè Sarandib, nome persiano di Ceylon, oggi Sri Lanka), mise alla prova i tre figli con un viaggio: i giovani portarono a termine con successo la sfida grazie al ritrovamento casuale di alcune cose sul loro cammino e all’aver avuto la capacità di osservare e di sorprendersi per ciò che non stavano cercando. Horace chiamò “serendipità” la chiave con la quale i figli del re di Serendippo erano riusciti a superare la prova imposta dal padre.

Walpole divenne famoso non soltanto per la sua sterminata corrispondenza con scrittori e personaggi del suo tempo ma anche per aver scritto quello che venne considerato il primo romanzo gotico, pubblicato nel 1764 e intitolato Il castello d’Otranto. L’autore non solo omaggiò l’Italia sviluppando la storia nella città salentina, ma presentò l’opera al pubblico come la traduzione dall’italiano all’inglese di un manoscritto stampato a Napoli nel 1529. Il testo era invece opera dello stesso Horace.

Pagine da: Il castello di Otranto di Horace Walpole. British Library
Pagine da: Il castello di Otranto di Horace Walpole. British Library

Così come Walpole si fece ispirare dalla fiaba persiana dei principi di Serendippo, noi ci siamo ispirati alla sua serendipità per proporre una metodologia particolare del passeggiare. Ma non solo a lui. Dietro al serendipiwalk c’è la riflessione sulla flânerie di Walter Benjamin, sulle visite dadaiste, sulle deambulazioni dei surrealisti, sulle derive di Guy Débord e sull’andare a zonzo del gruppo Stalker.

Manifesto Dada delle visite del 1921
Manifesto Dada delle visite del 1921

Così abbiamo proposto il passeggiare come un gioco durante il quale si devono trovare cose a caso, sviluppando la capacità di osservare ciò che non si stava cercando. Il serendipiwalk è un’attività pre-costruita che accetta il caso ma che non si fonda su di esso. Ha delle regole stabilite in anticipo, come il territorio che verrà esplorato (un quartiere o una parte di un quartiere), l’estensione dello spazio di indagine (un determinato numero di metri quadri), la direzione che seguirà il gruppo (un itinerario di base), alcuni punti d’interesse individuati in un sopralluogo preliminare. Come funziona? L’aleatorietà è meno determinante di quanto si creda. La figura di una guida è indispensabile: essa sceglie i confini del territorio della passeggiata e prepara la mappa che permetterà ai partecipanti di muoversi dentro tali confini e di prendere nota di quanto percepito.

Mappa elaborata durante un serendipiwalk [Foto: by Associazione culturale GoTellGo, CC BY SA]
Mappa elaborata durante un serendipiwalk [Foto: by Associazione culturale GoTellGo, CC BY SA]
I partecipanti si ritrovano in un punto d’incontro e vengono dotati della mappa, di adesivi colorati e di post-it sui quali annotano le proprie esperienze durante la passeggiata. La guida funge soltanto da “induttore” delle scoperte del gruppo, mentre ogni partecipante percepisce in modo unico e personale il territorio esplorato. Gli adesivi colorati permettono di assegnare percezioni sensoriali ai diversi luoghi o punti d’interesse notati, ma non solo. Oltre alle sensazioni vengono documentati anche gli incontri occorsi durante il percorso. I serendipiwalker scambiano le loro impressioni, prendono nota, osservano, toccano, ascoltano, gustano, annusano.

Incontro casuale nel Serendipiwalk a Tor Marancia
Incontro casuale nel Serendipiwalk a Tor Marancia
Le dita dei Serendipiwalkers in azione
Le dita dei Serendipiwalkers in azione

Sono da tenere in conto anche i ricordi venuti a galla durante la passeggiata. Tutti questi elementi convergono nelle rappresentazioni di ciò che Guy Débord chiamava “cartografie psicogeografiche”: ritratti di un territorio in chiave di chi lo ripercorre, a caccia delle proprie sensazioni e scoperte.

La passeggiata si chiude con un piccolo workshop durante il quale ogni partecipante compila una tabella assegnando un punteggio da 1 a 5 ai singoli punti di interesse in relazione alle sensazioni che egli stesso ha documentato: la meraviglia, la sorpresa, la curiosità, lo stimolo alla riflessione, l’evocazione di ricordi o relazioni e il desiderio di vedere valorizzati i luoghi visitati. Durante il serendipiwalk i punti d’interesse sono fotografati con una Polaroid così da avere una documentazione iconografica istantanea del percorso utile durante il workshop quando si ricostruisce la passeggiata e si compila la tabella.

Alla fine, l’azzardo permette di produrre una mappa di comunità – di una piccola ed effimera comunità – che, senza saperlo, ha riscoperto un territorio e lo ha documentato grazie a Horace Walpole.

La metodologia del serendipiwalk è stata messa a punto la prima volta dall’Associazione culturale GoTellGo nell’ambito delle iniziative finanziate dal bando “Cult! L’Ottava Meraviglia” del Municipio Roma VIII.

[Gabriela Häbich]

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