Camminare, una rivoluzione?

Copertina del volume

Secondo Adriano Labbucci, ex Presidente del Consiglio comunale di Roma e amante del cammino, “Camminare è una rivoluzione”, come afferma nel recentissimo volumetto scritto per i tipi di Donzelli, del quale riportiamo qualche pillola.

Avviso ai lettori. Lasciate stare. Se cercate degli insegnamenti sul camminare ultima moda che spopola negli Stati Uniti con tanto di lezioni, corsi universitari e relativi professori oppure ricette sul camminare come cura di sé o infine paginate di resoconti di camminate che si perdono invariabilmente tra il noioso, l’elegiaco e il paranoico, ripeto a scanso di equivoci: lasciate stare, questo libro non fa per voi.  Qui c’è una tesi: non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare e di agire oggi dominante che è il camminare. Punto. Camminare è una modalità  del pensiero. E’ un pensiero pratico. [Premessa, p. 3].

In un mondo sempre più tecnico, ognuno, camminando, deve cercare la propria Itaca.

Da sempre infatti camminare ha avuto a che fare col pensare e con le domande fondamentali che sono alla base della filosofia: chi siamo, dove siamo, dove siamo diretti; poiché esprime come poche altre esperienze questa apertura al mondo e a se stessi. [p. 22].

Non si cammina per arrivare presto […], si cammina per tenere desti i sensi così da incontrare il mondo e compiere un’esperienza di vita [p. 25].

Nella civiltà delle macchine e nella cultura del macchinismo in cui siamo immersi la velocità  è un valore aasoluto. Camminare è un atto di insubordinazione a questa ideologia, a questa tirannia. […] Camminare infatti è la sola esperienza in grado di comprendere la dimensione del tempo in tutte le sue implicazioni e sfaccettature. […] Non si cammina perché le cose ci raggiungano nel tempo propizio, si cammina per tenere desti i sensi e far circolare aria alla mente e all’anima. Invece il mantra che ci viene ripetuto incessantemente ogni giorno, essere veloci nel produrre-consumare-competere, si riassume alla fine in una parola sola: crescita. Crescere sempre di più e sempre più velocemente è oramai un vero e proprio dogma di fede. Questo è il pensiero, si fa per dire, non unico ma fisso che ci sovrasta. [p. 30]

Nei primi capitoli l’autore parte dalla tesi che, rispetto al modo di pensare e di agire oggi dominante, non c’è nulla di più sovversivo del camminare, esponendo ragioni e motivazioni e concludendo con l’affermazione che camminare è un atto di libertà . Labbucci non tralascia di avvalorare le sue tesi, adducendo riferimenti alle storie di Chatwin e Benjamin.

Ma oggi siamo liberi di camminare? Dal 2008, nel pianeta la popolazione urbana a superato quella extraurbana con conseguenze che in un futuro non molto lontano si faranno sicuramente sentire: distruzione del paesaggio, cementificazione delle aree, predominio del trasporto su auto privata, occupazione abusiva di suolo pubblico, turismo mordi e fuggi…

Chi cammina ha tanti buoni e fondati motivi per non credere alle sorti magnifiche e progressive del futuro; impara ogni giorno a proprie spese a diffidare di quel delirio di onnipotenza che non vede e non pone limiti alle pretese, che ritiene che tutto gli sia permesso o concesso. Ne fa esperienza diretta nella distruzione del territorio, nelle ferite inferte al paesaggio, nell’assalto e nel saccheggio degli spazi e dei beni pubblici, tutti fattori che riducono, impediscono, cancellano ogni possibilità  di camminare. Per questo chi cammina ha imparato a guardare e intendere in maniera diversa il concetto di conservazione, e non lo considera (più?) un residuo del passato ma qualcosa di valido per il presente e per il futuro. [p. 137].

Per contrastare questo presente già  dato e darsi un altro futuro bisogna ripartire dai piedi… [p. 149].

Adriano Labbucci
Camminare, una rivoluzione
Roma: Donzelli, 2011
ISBN 978-88-8036-628-3
Euro 15,00

 

 

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