Iran: Kerman, la magia del deserto dei Kalut e il fascino dei qanat

In questo post raccontiamo tre giorni del nostro viaggio nell’Iran centro-meridionale dedicati alla visita della città di Kerman, del giardino Shahzadeh, della cittadella di Rayen, del deserto dei Kalut e dei qanat.

Dedichiamo un’intera giornata ad esplorare Kerman, capoluogo dell’omonima regione nell’Iran sudo-orientale, città desertica abitata da una popolazione dalla pelle più scura.

A Kerman soggiorniamo presso il simpatico hotel Akhavan, dall’atmosfera molto familiare.

Iniziamo la nostra visita dalla bella piazza Ganj-e Ali Khan edificata in epoca safavide dal governatore cui deve il nome, che la fece costruire tra il 1596 e il 1621. È molto grande e l’area centrale è suddivisa in quattro settori arredati con cipressi e fiori gialli. Sui quattro lati si sviluppano gli iwan, ambienti coperti porticati con arcate centrali dai quali si accede al bazar e a diversi monumenti. Lungo uno dei lati svetta un badghir, ossia una torre del vento. Ne vedremo tante nel nostro viaggio, ma ne spiegheremo la funzione nel post dedicato a Yazd.

Kerman, piazza Ganj-e Ali Khan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, piazza Ganj-e Ali Khan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Scendiamo invece, sul lato opposto, nell’antico hammam Ganj-e Ali Khan. Oggi musealizzato, un tempo era il bagno pubblico più importante della città. Visitiamo i vari ambienti – il calidarium, il frigidarium, lo spogliatoio – tutti con bellissimi soffitti a cupola, soffermandoci a osservare le pareti dipinte, stuccate e maiolicate e i pavimenti rivestiti di preziosi marmi e alabastri. Qua e là alcuni manichini di cera illustrano la vita di un tempo: uomini e donne si recavano all’hammam una volta a settimana, in giorni diversi, e lì chiacchieravano e fruivano di servizi vari, dal dentista al parrucchiere al massaggiatore e c’era persino chi effettuava i salassi, prelevando sangue dalle vene dei pazienti. In una nicchia sono esposte brocche e altri oggetti, tra cui un bel poggiapiedi in marmo su cui i clienti sostavano per asciugarsi dopo essere usciti dalla vasca.

Kerman, hammam Ganj-e Ali Khan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, hammam Ganj-e Ali Khan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
In piazza incrociamo alcuni beluci di passaggio, popolazione iranica di stanza nel Belucistan, una regione molto vasta politicamente suddivisa tra Iran, Afghanistan e Pakistan. Le donne sono facilmente identificabili per i tipici costumi tradizionali che indossano con fierezza.

Kerman, piazza Ganj-e Ali Khan, donne del Belucistan iraniano [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, piazza Ganj-e Ali Khan, donne del Belucistan iraniano [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Lasciata la piazza, in pochi minuti raggiungiamo il vecchio caravanserraglio di epoca qajara. Dei comodi divani in legno invitano a un momento di riposo, sorseggiando un ottimo caffè espresso acquistato nel chioschetto all’ingresso del cortile. Il complesso, decorato con colorate piastrelle, si articola su due piani; percorrendo ripide scale, saliamo al piano superiore dove, su piccoli cortiletti, affacciano botteghe di artisti e artigiani. All’interno di un localino un maestro di musica con una lunga barba bianca insegna a un’allieva a suonare il setar, tipico strumento a corde persiano. Ci invita gentilmente a entrare e in nostro onore esegue un brano classico, sospendendo la lezione per qualche minuto.

Kerman, maestro di musica [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, maestro di musica [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Poco oltre un artista ha inaugurato di recente un localino molto tranquillo con tavolini all’aperto, il Chilok, dove ci fermiamo a bere un te’ caldo. Dalla finestra del suo studio si gode di una magnifica vista sul cortile del caravanserraglio.

Kerman, il vecchio caranserraglio [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, il vecchio caranserraglio [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Il bazar si sviluppa su un lunghissimo viale parzialmente coperto, è molto animato, poco turistico e frequentato soprattutto da locali, proprio per questo molto interessante.

Il bazar di Kerman [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Il bazar di Kerman [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
All’estremità opposta del mercato, raggiungiamo piazza Shohada e da lì l’antichissima moschea del venerdì (jameh). Scendiamo assieme a un gruppo di donne in chador nero i gradini che ci conducono all’ingresso sormontato da una torre con orologio realizzata quando i due precedenti minareti crollarono a seguito di un rovinoso terremoto.

Come altre moschee anche qui i quattro iwan si affacciano sul cortile interno. I due laterali danno sulle sale di preghiera colonnate – gli shabestan – di fronte sta l’imponente mirhab quattrocentesco. Dovunque è un profluvio di maioliche colorate. Una curiosità, avvicinandovi potrete osservare la tecnica del mo’arraq, il mosaico ceramico, inventata da artigiani di epoca muzzafaride, dinastia persiana sunnita di origine araba che governò la Persia nel XIV secolo. Piccole pietre monocrome e lucide, tagliate con cura e precisione, vengono poste l’una accanto all’altra creando arabeschi, calligrafie e geometrie dai colori molto vivaci. Quando ai mosaici smaltati si abbinano i mattoni la tecnica è nota come mo’aqqali.

Kerman, la moschea del venerdì [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, la moschea del venerdì [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
All’uscita della moschea esploriamo alcuni vicoli esterni al bazar che ci riservano tante piccole sorprese, un mercatino di galline e conigli, un vecchio hammam trasformato in fumeria di infima categoria, un’ampia sala di preghiera affacciata sulla piazza e dedicata al terzo imam, Hussein. Entriamo in cinque e un gentile signore ci chiede perché siamo solo donne e dove siano i nostri uomini!

Kerman, luogo di preghiera in odore del'imam Hussein [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, luogo di preghiera in odore del’imam Hussein [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Osserviamo attentamente un ritratto di Hussein tuffandoci nella storia. Alla morte del fondatore e profeta dell’Islam Maometto, avvenuta a Medina nel 632 d.C., si aprì un acceso dibattito su chi dovesse assumere il comando della comunità: secondo i seguaci del partito della shia (da cui sciismo) doveva essere un discendente del profeta, ovvero Alì, lo sposo di Fatima, figlia di Maometto, mentre per gli altri doveva venire eletto un califfo. Prevalse il partito dei seguaci della tradizione (la sunna, da cui il sunnismo) e venne quindi eletto un califfo. Circa cinquantanni dopo, nel 680, nella pianura di Karbala, oggi in Iraq, avvenne il sacrificio del figlio di Ali, Hussein, che a capo di 72 uomini sfidò inutilmente i 4000 soldati dell’esercito del califfo omayyade Yazid, Quest’episodio marcò lo scisma definitivo tra l’islam sunnita e quello sciita. Oggi il 90% dei musulmani è sunnita, il restante 10% sciita risiede per lo più in Iran.

Kerman, dipinto raffigurante l'imam Hussein [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, dipinto raffigurante l’imam Hussein [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Dopo uno spuntino libero nel mercato, nel pomeriggio raggiungiamo in pullman la ghiacciaia Moayedi in via Abu Hamed. Di epoca safavide, è stata molto ben restaurata e oggi ospita al suo interno un’associazione di promozione sociale che svolge attività per i bambini. Come le ghiacciaie rinascimentali in Italia, anche i safavidi in Persia escogitarono un sistema per produrre e conservare il ghiaccio necessario per il mantenimento del cibo e per la preparazione delle bevande.

Kerman, la ghiacciaia Mohayyedi [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, la ghiacciaia Mohayyedi [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Grosse vasche esterne all’edificio centrale venivano riempite con acqua che, esposta alle freddissime temperature invernali, ghiacciava. Il ghiaccio veniva quindi frantumato in grossi blocchi e trasferito nella ghiacciaia, costituita da un grosso serbatoio circolare costruito a una profondità di circa cinque metri, con pareti spesse sino a tre metri e una grossa cupola tronco-conica particolarmente adatta a evitare lo scioglimento del ghiaccio. Di prima mattina, i blocchi ghiacciati venivano ricoperti di paglia, avvolti in un panno e trasportati nei luoghi di smercio. Siamo fortunati, al momento del nostro arrivo, si sta allestendo uno spettacolo per bambini e, seppure solo per un paio di minuti, possiamo ammirare l’interno del curioso edificio.

Abbiamo ancora del tempo a disposizione e decidiamo di visitare il Museo della Guerra, dedicato a raccontare la “sacra difesa”, nome con cui gli iraniani chiamano la guerra Iran-Iraq scoppiata nel 1980 quando l’Iraq di Saddam Hussein invase senza preavviso l’Iran, sconfessando i trattati confinari allora in essere.

Kerman, giardino antistante il Museo della Guerra [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, giardino antistante il Museo della Guerra [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Ci dicono che il museo dovrebbe aprire dopo un’oretta, verso le quattro, e decidiamo di aspettare nel grande cortile fiancheggiato da numerosi ritratti di martiri. Dopo un’ora di attesa non si vede ancora nessuno, proviamo a chiedere informazioni a un venditore ambulante e a delle signore sedute vicino a un chiosco, ma tutti sono vaghi e non hanno informazioni precise. Convinti ormai che il museo non aprirà, ci dirigiamo verso l’uscita per tornare in albergo e invece ecco che all’improvviso sentiamo dei ragazzi correre nella nostra direzione per avvisarci tra mille sorrisi, additando l’ingresso, che il museo ha finalmente aperto. Facciamo quindi marcia indietro ed effettuiamo la nostra visita tra le vaste sale che espongono mappe storiche, dipinti di martiri, armi, strumenti bellici, fotografie storiche, poche purtroppo le didascalie in inglese.

Kerman, salone centrale del Museo della Guerra [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, salone centrale del Museo della Guerra [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
All’esterno il giardino ospita l’ambientazione di una zona di guerra con carri armati, veicoli bellici, la ricostruzione di un ospedale da campo, cavalli di frisia, imbarcazioni. Una visita storica da non perdere, per ricordare uno dei capitoli più tristi del Medio Oriente, una guerra durata ben otto anni, dal settembre 1980 fino all’agosto 1988, in cui l’oggetto della contesa fu la supremazia sul Golfo Persico e i suoi pozzi petroliferi tra due paesi retti da regimi dittatoriali e repressivi (capeggiati dall’ayatollah Khomeini in Iran, da Saddam Hussein in Iraq), nella quale entrarono in gioco, con interessi diversi, tutte le maggiori potenze mondiali e il cui risultato catastrofico fu un milione di morti.

Kerman, area espositiva esterna del Museo della Guerra [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kerman, area espositiva esterna del Museo della Guerra [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Al termine della visita non abbiamo più voglia di tornare in centro e facciamo una passeggiata a piedi di una quarantina di minuti nei quartieri nuovi di Kerman in direzione dell’albergo. Per un lungo tratto percorriamo la trafficatissima Pasdaran Street, letteralmente fiancheggiata da decine di negozi di telefonia d’ultima generazione.

La mattina successiva partiamo di buonora per poter raggiungere in pullman il deserto del Dasht-e Lut nel tardo pomeriggio.

Tra Kerman e Rayen [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Tra Kerman e Rayen [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
A un centinaio di chilometri da Kerman, lungo la direttrice per Bam, ci fermiamo a visitare la cittadella desertica di Rayen, tutta in mattoni di fango, molto ben restaurata. Arg-e-Rayen fu abitata sino a centocinquanta anni fa. C’è chi dice che la fondazione di questa fortezza risalga addirittura all’epoca preislamica dei Sassanidi, 1500 anni fa. Per un’oretta esploriamo le viuzze, il quartiere dei nobili, la cittadella governativa, la moschea islamica, il tempio del fuoco, c’è chi prova a salire sugli spalti delle alte mura dotate di undici torri, ma viene subito redarguito dalla vigilanza…

Cittadella di Rayen [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Cittadella di Rayen [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Riprendiamo il pulmino e torniamo su nostri passi per un veloce spuntino nelle vicinanze di di Mahan presso il magnifico giardino Shahzadeh, trenta chilometri a sud  di Kerman. Un piccolo paradiso nel deserto, questo tipico giardino persiano voluto dai principi qajari nel XIX secolo, che si sviluppa su otto terrazzamenti su cui si dispongono vasche, cespugli fioriti, alberi da frutto, pini, cedri e olmi. L’acqua giunge attraverso il qanat Tigram dalle sorgenti dei vicini monti Joupar.

Giardino Shahzadeh a Mahan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Giardino Shahzadeh a Mahan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
La nostra guida Najmeh ci racconta che nelle credenze popolari del luogo si riteneva che se una donna incinta avesse visto un cadavere durante la gravidanza, il nascituro sarebbe diventato uno iettatore, con poteri malefici. Secondo una leggenda all’epoca della costruzione del giardino, un grosso masso ostruiva quello che doveva diventarne l’ingresso. Venne chiamato un ragazzo che abitava nelle vicinanze e che con i suoi occhi poteva distruggere la roccia. Il giovane inizialmente si rifiutò di intervenire temendo che il principe lo avrebbe ucciso a causa dei suoi poteri magici, ma alla fine suo malgrado acconsentì. Il ragazzo disintegrò la roccia e il principe, non certo magnanimo, gli salvò la vita ma gli fece cavare gli occhi.

Giardino Shahzadeh a Mahan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Giardino Shahzadeh a Mahan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Giardino Shahzadeh a Mahan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Giardino Shahzadeh a Mahan [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Oggi questo tipico giardino persiano è un luogo di delizia e di pace, frequentato soprattutto da coppiette, famiglie di iraniani e beluci, turisti.

Ai piedi degli Zagros [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Ai piedi degli Zagros [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Al termine di questa giornata di trasferimento, ricca di soste interessanti, superiamo la cittadina di Shahdad e in una ventina di minuti raggiungiamo un bellissimo camp in un palmeto con comodi bungalow, tende superaccessoriate e una bella sala da pranzo con un gustoso e ricco buffet.

Lasciamo il camp nel buio più completo, verso le 4,30 di mattina. Ci viene a prendere Amir e montiamo su quattro comode jeep per un’escursione di tre ore nel deserto del Dasht-e Lut.

Amir [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Amir [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Siamo emozionatissimi, anche perché le aspettative sono alte.

Deserto del Kalut [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Deserto del Kalut [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Due sono i grandi deserti che si aprono sull’altopiano iraniano: il Dasht-e Kavir, più a nord, e il Dasht-e Lut che si sviluppa in direzione nord-ovest sud-est verso l’Afganisthan con una superficie di quasi 52.000 kmq (480 x 320 km). Quest’ultimo è considerato uno dei deserti più belli del mondo con le gigantesche dune di sabbia del Rig-e Jenn alte fino a 300 metri e il Gandom Beryan, un ampio pianoro ricoperto da lava solidificata considerato il luogo più caldo del pianeta, dove la temperatura arriva a 70 gradi. In lingua persiana Gandom Beryan significa “grano abbrustolito”: narra una leggenda che in conseguenza di un incidente un carico di frumento fu abbandonato in quest’area e si abbrustolì per il calore in pochi giorni.

Deserto del Kalut [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Deserto del Kalut [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Tre ore di escursione non sono sufficienti per raggiungere il Gandom Beryan, ciò non di meno riusciamo a godere di panorami mozzafiato sulle creste rocciose dei kalut (in persiano) o yardang (in turco) modellati dai forti venti che soffiano tra giugno e ottobre. Alcuni kalut raggiungono i 150 metri di altezza e le creste possono essere seguite per più di 40 km.

Deserto del Kalut [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Deserto del Kalut [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Con le jeep attraversiamo gole e scavalchiamo vallate. Gli autisti talvolta si fermano per sgonfiare un po’ i pneumatici e agevolare l’attrito sulla sabbia. Si fermano anche per raccogliere sporadici sacchetti di plastica svolazzanti e preservare l’integrità dell’ambiente. Alcune guide descrivono questo luogo come privo d vita, ma in realtà delle noiosissime mosche ci infastidiscono per tutto il tempo.

Deserto del Kalut [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Deserto del Kalut [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Durante l’escursione, facciamo diverse soste per osservare l’alba, camminare sulla sabbia, puntare lo sguardo sulle innumerevoli forme create dal vento. Non ci sono parole per descrivere le emozioni provate da ciascuno di noi. Mi appunto i commenti dei miei compagni di viaggio: “vedo la vertebra di un dinosauro, la prua di una nave, castelli, villaggi, piramidi”, “dire bello è molto riduttivo” “la magia del Silenzio nel vento”, “ci vorrei morire, mi stenderei”, “sembra di essere sulla luna”.

Deserto del Kalut [Foto: Sergio De Nardis, CC BY NC ND]
Deserto del Kalut [Foto: Sergio De Nardis, CC BY NC ND]
Alle 8,30 inizia già a far caldo e torniamo al nostro campo tendato dove passiamo la mattina a riposarci e a metabolizzare le forti emozioni della mattina.

Dopo pranzo ripartiamo per Kerman e lungo la strada Nehbandad-Shahdad, nei pressi del Lut Ecolodge, ci fermiamo a visitare i qanat, elemento ricorrente nel paesaggio persiano e storicamente così importante che dal 2016 è incluso nella lista dei beni patrimonio dell’umanità.

Kanat [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Kanat [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Se gli ingegneri romani sono stati geniali nel costruire la rete di acquedotti nell’Urbe e nelle province dell’impero, non da meno sono stati i colleghi persiani che fin dal I millennio a.C. idearono un sistema di approvvigionamento dell’acqua in una delle zone più aride del mondo, con un clima secco e assenza di piogge per oltre sei mesi l’anno. Ma cos’erano esattamente i qanat? Un complesso sistema di cunicoli sotterranei attraverso i quali l’acqua veniva ingegnosamente trasportata sfruttando una lieve pendenza dalle falde acquifere fino alle cisterne e proprio come i condotti degli acquedotti romani l’acqua non doveva scorrere né troppo lentamente né troppo velocemente per garantire l’assenza di ristagno e prevenire l’usura delle condotte. Si calcola che in Iran esistano ancora 22.000 qanat per una lunghezza di circa 300.000 chilometri. Per secoli i qanat, manutenuti da operai specializzati (i mirab), hanno garantito l’approvvigionamento dell’acqua da bere nei villaggi e l‘irrigazione a fini agricoli e di allevamento.

Kanat [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
Kanat [Foto: Laura Gianzi, CC BY NC ND]
A partire dagli anni Settanta del Novecento, le grandi proprietà fondiarie sono state smembrate a favore di appezzamenti più piccoli e molti qanat sono andati in rovina per mancanza di manutenzione, oggi molti di essi vengono manutenuti solo grazie alla passione di alcune famiglie e rischiano di scomparire senza una seria politica di protezione e conservazione.

Entrare in un qanat è una vera emozione. Dall’alto di un pozzo osserviamo l’interno di un cunicolo al quale accediamo scendendo una serie di gradini; in fondo – sorpresa! – incontriamo tre giovani, due ragazzi e una ragazza rigorosamente velata, che fanno il bagno in una pozza per rinfrescarsi dal caldo torrido. Ci sorridono restando a mollo, mentre noi proseguiamo l’esplorazione del cunicolo.

Kanat [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Kanat [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Riprendiamo il pulmino, il paesaggio è magnifico e all’altezza del villaggio di Shafiabad chiediamo al nostro autista di fermarci per un fuoriprogramma.

Il villaggio di Shafiabad [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Il villaggio di Shafiabad [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Ci godiamo una passeggiata fuori del tempo tra casupole di fango abbandonate, un ridente palmeto, il condotto di un qanat, due pastori che conducono un gregge di capre al pascolo, le rovine di un caravanserraglio…

Campagna iraniana [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Campagna iraniana [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC ND]
Il sole sta ormai per tramontare e riprendiamo il pulmino per Kerman, più che soddisfatti dopo due giornate meravigliose.

[Maria Teresa Natale, travel designer]

Resoconto delle visite svolte il 2, 3 e 4 ottobre 2019

Per approfondire il tema dei qanat

https://whc.unesco.org/en/list/1506/

http://www.nationalgeographic.it/multimedia/2017/06/01/video/gli_antichi_acquedotti_sotterranei_sotto_il_deserto_dell_iran-3549383/1/

Per approfondire il tema della guerra Iran Iraq

https://www.panorama.it/cultura/22-settembre-1980-inizia-la-guerra-iran-iraq/

 

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