Passeggiate sullo stradario di Roma: toponomastica curiosa dalla A alla Z (Lettere M-P)

Riprendiamo le nostre esplorazioni urbane sulla carta riagganciandoci al post precedente, nel quale abbiamo proposto una rassegna di toponimi ispirati ad animali. Stavolta apriamo la nostra passeggiata nella toponomastica romana fra tavole e quadranti dello stradario TuttoCittà a partire (alfabeticamente) da vie che, immaginiamo, nessuno degli animali citati la volta scorsa avrebbe mai percorso volentieri, poiché si tratta di diverse vie del centro storico che rievocano la presenza di macelli e mattatoi!…

Fino al XIX secolo l’attività di macellazione si teneva in piccole botteghe, spesso a livello pseudo-domestico, soprattutto per gli animali di piccola taglia; esistevano poi macelli specializzati nella mattazione di animali di grossa taglia, e altri ancora per la macellazione di alcuni capi piuttosto che di altri.

Spesso accadeva che, quando il macello che aveva dato luogo al toponimo (“macello”, “macelletto” e “macellari”) chiudeva i battenti, anche il toponimo di fatto veniva a cadere. Pertanto, al di là della nomenclatura stradale tuttora in vigore dall’epoca, immaginiamo che siano esistiti molti altri luoghi di mattazione dei quali oggi non si conserva più memoria.

Molti di questi sanguinolenti toponimi, dunque, sono oggi scomparsi, eppure vale la pena ricordarne almeno qualcuno, notando fra l’altro che molti erano vicoli, lontano dagli occhi ma anche lontano dall’igiene, immaginiamo quanto persistenti fossero puzza e liquami… Non a caso il primo grande macello comunale fu ubicato nel 1824 dietro Piazza del Popolo, a ridosso del fiume per lo smaltimento degli scarti della lavorazione. Ma fu poi spostato perché presenza sgradevole per gli occhi e le narici del ceto benestante che amava passeggiare sull’antistante collina del Pincio. Il nuovo mattatoio fu collocato a Testaccio (1891), ancora una volta affacciato sul fiume ma esposto all’olfatto di più proletari e tolleranti nasi.

Mattatoio comunale di Testaccio nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci
Mattatoio comunale di Testaccio nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci

Se ci fossimo aggirati decenni orsono fra i rioni Trastevere, Ponte, Borgo, avremmo trovato una significativa concentrazione di toponimi “da macellai”, spesso accompagnata dalla precisazione del nome dei proprietari, singoli o comunità, o degli animali che vi erano macellati: Macello degli Ebrei, Macelli delle bufale, Macello dei Conti, Macello a Pozzo bianco, Macello di Ripa…

Il Macelletto era a Trastevere, e corrispondeva ad un tratto di via della Pelliccia, toponimo esteso a tutta la via dopo il 1870.

Macello di Pozzo bianco era a ridosso dell’Oratorio dei Filippini; e i Macelli di Ripa erano dentro i fornici del Teatro di Marcello. Erano detti anche Macelli di Monte Savello, con riferimento alla piccola altura artificiale a ridosso del suddetto teatro e del fiume. Nel XV secolo lì fu spostato, da Trastevere, anche il Macello degli Ebrei, presso il quale vigevano le specifiche regole di mattazione della comunità ebraica.

I Macelli delle bufale erano ancora in Trastevere; l’odierna via Tomacelli (area di proprietà della famiglia omonima) si chiamava prima Via del Macello, mentre il toponimo Via dei Due Macelli, assegnato nel 1907 e tuttora esistente, faceva chiaramente riferimento a due mattatoi lì in zona.

Via dei Due Macelli nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci
Via dei Due Macelli nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci

Il centralissimo Macel de’ Corvi prendeva il nome dalla famiglia Corvi o Corvini, proprietaria di terreni nei pressi della Colonna Traiana; dal 1871, anno di affissione di una targa in memoria, tuttora ben evidente, il luogo è noto inoltre perché Michelangelo Buonarroti vi prese casa e vi abitò per gli ultimi 30 anni circa della sua vita.

Cambiamo ora atmosfera ma non zona. Anzi, ci spostiamo poche decine di metri più in là per imbatterci in un (altro) bel toponimo, tanto curioso quanto, a mio avviso, gioviale e “pieno”, evocatore di gozzoviglie e di luoghi assolati: Via Magnanapoli!

Cosa significa?! «Dall’antico monte ove sorse il monastero di Santa Caterina», ci dice il SITO del Comune di Roma. Da Montis manianapolis, ci suggerisce Umberto Gnoli (1939), con successive corruzioni del nome della contrada in cui sarebbero sorti balnea, cioè “terme”; oppure da Bannum Nea Polis, in riferimento a una cittadella militare bizantina del IX secolo che lì sorgeva (bannum sta per “raggruppamento di soldati”, e nea polis è la “città nuova”). Non vi è certezza, però, riguardo a nessuna di queste ipotesi.

Largo Magnanapoli nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci
Largo Magnanapoli nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci

Altro toponimo dall’etimologia incerta è quello di Via Margutta: «Dal soprannome di un barbiere detto Margutte» (ancora dal SITO). Pare, in effetti, che nell’agglomerato di case immediatamente a ridosso della odierna via del Babbuino (toponimo del 1870) detto “borghetto dei pidocchi”, vivesse un barbiere corpulento e gioviale, la cui fisionomia e il cui comportamento ricordavano quelli del gigante Margutte descritto nel poema comico di Luigi Pulci, apparso in più edizioni durante la seconda metà del ‘400. In effetti un «Margut barbieri» era già censito nel 1526; Margutti era anche cognome di famiglia, registrato già dal XV secolo.

Via Margutta nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci
Via Margutta nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci

Atmosfera carnevalesca potremmo dire a proposito di Via del Mascherino, Via del Mascherone, Via della Maschera d’oro. O, dati i nostri tempi di pandemia, atmosfera da emergenza sanitaria!! Una Via della Mascherina, però, non è mai esistita.

E invece niente mascherate né epidemie. Via del Mascherino, in Borgo Pio, è così denominata per ricordare il pittore ed architetto Ottavio Mascherino (1524-1606) che lì visse quasi per tutta la vita.

Via del Mascherino nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci
Via del Mascherino nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci

Via del Mascherone prende invece il nome dalla grande fontana collocata alla fine di Via Giulia, pressoché di fronte al prospetto posteriore di Palazzo Farnese. Attribuita a Girolamo Rainaldi, realizzata durante la prima metà del ‘600, è sormontata da una grande maschera antica, dalla cui bocca si diceva che in occasione di feste e celebrazioni i Farnese facessero uscire il vino piuttosto che l’acqua che quotidianamente la alimentava, quella dell’Acquedotto Paolo.

E mentre cerco altre informazioni, il SITO mi indica un altro toponimo che il TuttoCittà non riporta, e così scopro che a decine di chilometri di distanza dal Mascherone romano, ne esiste un altro, un quarto: non so dove siano gli altri due, comunque mi dirigo verso la “condotta sanitaria” (cioè circoscrizione, area di competenza sanitaria) di Santa Maria di Galeria, dove dal 1950 esiste il toponimo di Via del Quarto Mascherone, una semplice «denominazione locale».

Torno al mio passeggiare cartaceo rintraccio la Via della Maschera d’oro. L’aurea maschera è dipinta, o meglio graffita, sulla facciata del Palazzetto Milesi, in rione Ponte: la fronte del bel palazzetto è infatti decorata a graffito da Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze nel 1528; il tema è classicheggiante, la favola di Niobe. Durante il Rinascimento era in uso affidare ad artisti importanti la decorazione delle facciate degli edifici gentilizi, in evidente segno di prestigio; la tecnica del graffito era una delle più utilizzate, e diversi, sebbene non numerosi (pertanto ancora più preziosi), ne sono gli esempi a Roma.

Scorro ancora le voci dell’elenco, e quando mi trovo in Vicolo delle Palle non posso non pensare a… alle palle dello stemma mediceo, naturalmente! «D’oro, a sei palle disposte in cinta, la prima d’azzurro caricata di tre gigli d’oro (2, 1), le altre di rosso», così la definizione in gergo araldico. In questa area si trovavano alcune proprietà immobiliari della famiglia Medici, delle quali uno degli inquilini fu forse Giulio de’ Medici, quando ancora non era papa Clemente VII (1523-34). Occorre notare che nel vicolo si trovava anche uno sferisterio, dove si giocava a palla, e che il toponimo in origine era “della palla”, al singolare; sembrano dunque sovrapporsi le due spiegazioni.

Vicolo delle Palle nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci
Vicolo delle Palle nella Carta “Roma 1960”, Guida Monaci

Numerosi furono i toponimi che tennero, o che conservano tutt’oggi, memoria di campi di gioco con la palla: Via della Pallacorda, Pallacorda del Fico (altro nome di Vicolo del fico, Pallamaglio (scomparso, fra San Giovanni e Santo Stefano Rotondo), mentre in Largo del Pallaro, tuttora a fianco della chiesa di Sant’Andrea della Valle, pare che abitasse un fabbricante di palle.

Per il Vicolo delle Palline, in Borgo Pio, vale la medesima medicea spiegazione; lo stemma peraltro si vede chiaramente, posto sull’arco del Corridore di Borgo che qui passa. Da notare, inoltre, all’altezza del civico 24, la lapide dedicata alla memoria dell’architetto Domenico Fontana (1543-1607). Egli abitava pertanto a due passi dalla fabbrica di San Pietro, di cui seguì i lavori, e dal papa, Sisto V in particolare, per il quale eseguì importanti incarichi. Pare che il Fontana avesse affrescato una intera stanza della casa raffigurando tutte le sue opere, ma di tutto ciò non resta più traccia…

In conclusione, tanto gli sport antichi quanto i Medici hanno arricchito la toponomastica romana.

Fonti:

  • Mario La Stella, Antichi mestieri di Roma, Roma: Newton&Compton, 1982
  • Giorgio Carpaneto, I vicoli di Roma, Roma: Newton&Compton, 1989
  • Giorgio Carpaneto – Claudia Cerchiai – Maria Rosaria Grifone, I quartieri di Roma, 2 vol., Roma: Newton&Compton, 1996
  • Paola Staccioli, I teatri di Roma dal Rinascimento ai giorni nostri, Roma: Newton&Compton, 1997
  •  SITO-Sistema Informativo Toponomastica
    https://www.comune.roma.it/servizi/SITOWPS/

[Chiara Morabito, storica dell’arte e guida turistica, 19 maggio 2020]

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